martedì 14 agosto 2012

XIV Diario di Viaggio - Mart 14 Agosto

Siamo tornato da Rio, pieni della sua confusione
festosa e giocosa, del suo mare meraviglioso e
cittadino, dei suoi colori sacri e profani che
dipingono le maioliche variopinte e lucenti delle
scalinate, come le chiese barocche e dorate.
Una città ricca e sporca, carica di ritmi e giochi,
eppure proprio qui (dopo passeggiate al mare,
visite turistiche e camminate da shopping) entriamo
nella favela di Jaquarezinho (la seconda realtà di
periferia urbana più grande del Sud America con
100.000 abitanti!) e per la prima volta il nostro
"Candido" va in scena tra le pistola e i mitragliatori.
La parata, circondata dai bambini, si delinea già in
un clima di guerra, con soste incomprensibili dettate
dalla nostra 'guida' per avvisare i vari drappelli di
ragazzi armati che fanno da palo a tutta la rete del
narcotraffico in favela. Sfrecciano moto strombazzanti
con sopra giovani diciottenni con addosso pistole,
mitra, radioline e collane d'oro. Il nostro spettacolo
va avanti imperterrito e felice, cercando di mascherare
la tensione crescente e vibrante di dover inscenare
una fiaba spensierata davanti ad un pubblico di bambini
molti dei quali finiranno sparati e stroncati dal crack in
questi vicoli di fango e cemento. L'infanzia gioca ancora
in loro, ma negli occhi vediamo ovunque una presenza
della morte, dei rumori delle pallottole con la
polizia, delle urla e delle fughe nei viottoli per scampare...
E' orribile, e per questo lo spettacolo si piega in un
modo ancor più delicato, gentile, attento.
Una carezza per dei bambini induriti dalla violenza quotidiana,
paradossale e dura, mentre ridiamo e cantiamo sotto
lo sguardo di gruppetto di ragazzotti armati, banchetti
alla luce del sole (come in un mercatino) che invece
di esporre frutta e verdura propongono
(con tanto di cartellini prezzati) crack, marijuana,
cocaina, pasticche, colla e
un caricatore da mitragliatore.
Finiamo lo spettacolo, dipingiamo con i bambini,
restiamo nei vicoli a giocare e parlare con i
milioni di abitanti della favela, mentre ci narrano
la storia di lotta di questa gente. Armi, tante armi
e droghe mischiate alla vita comune delle
signore anziane che puliscono i terrazzini e
dei ragazzini che ballano e giocano nei cortili.
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Il Gruppo si prepara ora a tornare (mancano solo 4 giorni)
e in quest'ultima fase del viaggio si susseguono riunioni
e discussioni dure, delicate, amorose e violente!
Stiamo ponendo le basi per comprendere cosa
porteremo in Italia di tutte questa immensa esperienza...
delle importantissime interviste fatte (che testimoniano le
molte lotte a cui abbiamo assistito e in piccola parte
contribuito), le musiche ascoltate, i riti visti,
le esperienze in cui ci siamo immersi e le realtà
attraversate! La nebbia di idee si
assembra e dirada in mille modi, cercando di trovare
un equilibrio in questo Gruppo magmatico che durante
tutto il viaggio ha tentanto un ascolto, con non poche
difficoltà, attriti, lotte e dolori.
Intanto continua in mente a danzare il più grande
fantasma di tutta la nostra avventura : come riuscire a
raccontare la realtà dei popoli indigeni?

























- I bambini minuscoli che giocano, ballano, cantano
e piangono da soli, armati di giocattoli rimediati
(un barattolo di latta e una busta) come di
armi (un machete, un arco, una pietra, una forbice...),
tutti da soli, senza alcun controllo, alcuno sguardo.
Una banda solare e disumana, in grado di svegliarti
la mattina con una carezza e un sorriso a denti
marci, pieno di puro candore... e poco dopo
lapidare un povero cane e ridere sadicamente del
suo guaire senza scampo;
- Uomini tutto il giorno chini sulle loro sigarette,
a parlare con frasi smozzicate e monosillabi,
all'ombra del 'Cuscei' (la casa di preghiera per
soli uomini), attendendo un tempo infinito
ma senza alcuna noia, con un ritmo incomprensibilmente
naturale e vegetale;
- Donne che cuociono, lavano, cuciono, cantano,
puliscono... fanno ogni attività del villaggio, totalmente
isolate e felici, sole eppure così forti e consapevoli;
- Capi gloriosi, saggi, preziosi e antichi, carichi di
magia e di potere, che bevono un goccio di
cachaça in città e si spalmano a terra ubriachi,
cantando e sbraitando la loro squallida tristezza, come
barboni sbandati e dissociati;  
- e poi il più orribile dei misteri... gli scarafaggi!
Tutta la nostra presenza in riserva indigena è stata
ammantata non solo dalla pochissima e orribile igiene
di un popolo ridotto alla povertà più assoluta (nessuna
foresta, nessun animale, niente acqua...) : scabbia, pulci,
nessun bagno, fango e cani rognosi; ma soprattutto
dall'orribile piaga degli scarafaggi. Migliaia, milioni, miliardi
di scarafaggi ovunque: nelle amache, nelle scarpe, nelle
tasche dei pantaloni, dentro ogni pertugio della nostra
scenografia, nelle pieghe delle stoffe dei vestiti
di scena, nelle zip delle valigie, nei libri, negli ingranaggi
della telecamera, nei tasti della fisarmonica... scarafaggi
ovunque, da far impazzire qualunque debole e
infantile 'bianco' e far crollare dalle risate e dall'imbarazzo
gli indio che vi convivono senza alcun timore.
Noi che schiacciamo, sgrulliamo, laviamo, svuotiamo,
urliamo, frigniamo e saltiamo di paura ad ogni
manciata di insetti che ci rotola via dalle camice
mentre i bimbi nudi se li fanno camminare sulla
testa come gocce di rugiada.
Indio... un mistero meraviglioso...      







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