Domani partiamo alla volta di Rio de Janeiro,
per incontrare il Direttore del Museo Indigeno
e per fare altri spettacoli con l'ausilio e l'ospitalità
delle Brigade Popolari. Siamo ancora esausti e
scombussolati (soprattutto nella mente e nell'intestino)
dalla fortissima e misteriosa esperienza indigena,
che racconterò a piccoli passi,
cercando di tradurre in sintetici e semplici diari
l'universo di oscure vicende e incomprensibili
modalità di vita che costellano il mondo indigeno,
come a noi si è mostrato.
Siamo partiti il 1 Agosto con un autobus illegale,
di notte, nel più avventuroso e strampalato dei
principi. Il carico di zaini e scenografia
pressato a calci in un delirante sportellone di pulman
infangato e carico di biciclette, motorini, pacchi di biscotti e
valigie di ogni forma e materia. In una nottata di
paura, tra la corsa folle e nauseante del conducente,
i vetri rotti che sbuffavano spifferi gelidi su noi passeggeri,
un tanfo di 'cane baganato' all'interno ed un imprecisato
numero di passeggeri.... siamo arrivati, dopo circa 6 ore,
stremati alle 5.00 del mattino (notte fonda) a 'Teofilo Ottone'.
Da lì, circondando semi dormienti la nostra immensa pila
di bagagli, abbiamo cercato di organizzare il modo più
semplice per giungere alla ancora lontana meta (altri 220 km).
Alle 8.00 del mattino abbiamo risolto con una 'combi'
(un mini bus) di un simpaticissimo e pasciuto taxista
(Mr. Washinton) che ci ha scorrazzato allegramente per le
stupende strade dell'alto Minas Gerais, sino al confine con
lo stato di Bahia.
Nel triste e desolato paesotto di Santa Elèna
abbiamo scoperto di non avere alcun appoggio o copertura
per entrare in riserva indigena nè della Funai (organo di polizia
del governo per difendere le aree indigene) nè del
Polo della Salute (dottori che lavorano ogni giorno con la
riserva occupandosi in particolar modo dei bambini).
Abbiamo provato la carta dell'illegalità (sperando si non essere
scoperti, di non incontrare nessuno, e di poterci infilare in
terra indigena da soli). Così, organizzata la spesa e gli ultimi
contatti, siamo entrati in riserva, tra le strade fangose di
terra rossa, le pozzanghere e le colline verdi incolte.
Alle 16.00, dopo mille ricerche tra indio che ci schernivano
e indicazioni casuali e folli, siamo arivati a sorridere e stringere
la mano a Toninho (il Pagè, sciamano conoscitore dei canti
e delle danze Maxacalì, che ci aveva ufficialmente invitati dal
Festival di Diamantina). Il vecchio sacerdote ci ha accolto nella
sua stessa capanna (spostando tutta la sua famiglia) e ha dato il
via ad una meravigliosa cerimonia di benvenuto ricca di canti,
danze, gesti... Gli spiriti del fiume e della foresta, coperti di
fango e di foglie, ci hanno ringraziato per il cibo portato alla
comunità, mentre donne e bambini ridevano ovunque
e l'universo indigeno si spalancava ai nostri occhi.
E' cominciata così la nostra immersione tra i Maxacalì....
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